THE REVIEW - IDENTITY CARDS #4 - ROMBERG'S 2019-2020 SEASON

ANTONIO CERVASIO UOVA ALLA COQUE

curated by Daniele Zerbinati 

December 2019 - January 2020

ROOMBERG ROMBERG'S Project Space - Latina (Italy)

Antonio Cervasio Esposizione personale Romberg Arte Contemporanea

Installation view, photo credits Marcello Scopelliti

Antonio Cervasio esposizione personale particolare

Paesaggio Rosso Fragola, 2017. Acrylic and oil pastels on canvas, cm 110x180 (diptych)

Antonio Cervasio opere su tela

Il mio cuore veglia, 2019 > Misure sbagliate, 2018 > Le foglie cadono in primavera, 2018. Acrylic and oil pastels on canvas, 80x80 cm each

Antonio Cervasio vista della mostra Uova alla Coque
Antonio Cervasio dittico, acrilico e pastelli ad olio su tela

Conta fino a tre, 2017. Acrylic and oil pastels on canvas, cm 120x200 (diptych)

Particolare della mostra Antonio Cervasio, collage su carta realizzato insieme ai suoi figli Francesca e Salvatore.

Francesca, Salvatore and Antonio Cervasio. Uova alla Coque, 2019. Collage on paper

EN_

THE EXHIBITION_curated by Daniele Zerbinati

 «Nobody realized that, by saving time, in truth he was saving something else completely. No one wanted to admit that their life was becoming increasingly poor. "

(Michael Ende, Momo)

What temporal gap separates the manifestation of beauty implied by the awareness of having lost it? A second is enough, says Antonio Cervasio: the instant that is the perfect cooking of a boiled egg. In his third solo show in Romberg, the final act of a trilogy started with “I go to bed early” [2014] and expanded by the experimental parenthesis of Lavagne [2016], the artist from Campania evokes the importance of capturing the vastness contained in that particular moment: the cautious readiness that breaks up the horizontality of our life time, allowing one to guess the oblique details, the discrepancies, the underlying values, the unobserved actors, the occult regions, within and through the subtlety of a depth of gaze that, like a bacillus inoculated in the retina, moves those who have even acquired unilateral interpretative schemes, "impermeable" conceptual categories to the detriment of that divergent, fluid, periphrastic thought that is generally postponed to fantasizing about childhood, followed by being surprised by an existence practicable only by subtraction. Which is not a consequence, no place, no volume, no movement.

Through ten canvases of medium and large dimensions, brought together in a radically linear setting that defines them as mono-typical variations of the same theme, the irreconcilable dualism of the argument of reason and over-rational truth becomes an adult experiment. A serious, dramatic game, now enveloped in a language of "conscience" that returns to the elementary expediency of figurative devices commonly perceived as primary - stylizations, reiterations, incongruous combinations, half-tones and disproportions - and coined for a special sensation of unveiling identity which inspires Antonio to suspended affabulations, a quarrelling of signs, metaphors "of domestic use", rash regressions, the slipping from particular to particular: a continuous novel - with "inconclusive" episodes, not in the sense that they go wrong but that they leave the discourse indefinite - where the Pascolian ideal of a child's cognitive spontaneity seems to re-flourish: "who dreams or seems to dream in the light, remembering things never seen". And while a syncopated consistency verses the fable of a migration, a lit chandelier [the soft-boiled cosmic egg] watches from above to endorse this other story: an epic tale of losers and the lost, liturgies and solstices. An ode to the harmony drained intact in the boiling heat of the day.

Et voila! It's ready. 

IT_

LA MOSTRA_ a cura di Daniele Zerbinati

«Nessuno si rendeva conto che, risparmiando tempo, in verità risparmiava tutt’altro. Nessuno voleva ammettere che la sua vita diventava sempre più povera.»

(Michael Ende, Momo)

Quale scarto temporale distanzia la manifestazione della bellezza implicita dalla consapevolezza d’averla perduta? Un secondo è sufficiente, ci riferisce Antonio Cervasio: l’istante che vale la perfetta cottura di un uovo alla coque. Nella terza personale in Romberg, atto finale di una trilogia avviata con Vado al letto presto [2014] e ampliata dalla parentesi sperimentale di Lavagne [2016], l’artista campano evoca l’importanza di captare la vastità contenuta nell’attimo particolare: la prontezza cauta che smaglia l’orizzontalità del tempo della vita consentendo di indovinarne i dettagli obliqui, le discrepanze, i valori sottintesi, gli attori inosservati, le regioni occulte, nella e per la sottigliezza di una profondità di sguardo che, come un bacillo inoculato nella retina, commuove chi, sia pure avendo acquisito schemi interpretativi unilaterali, categorie concettuali “impermeabili” a scapito di quel pensiero divergente, fluido, perifrastico che generalmente viene rimandato al fantasticare dell’infanzia, seguita a sorprendersi di un’esistenza praticabile unicamente per sottrazione. Che non è consequenzialità, non ha luogo, volume, né movimento.

Attraverso dieci tele di medie e grandi dimensioni, avvicinate in un allestimento radicalmente lineare che le definisce come variazioni monotipiche di un medesimo tema, l’inconciliabile dualismo di argomento di ragione e verità soprarazionale diviene un esperimento adulto. Un gioco serio, drammatico, ora avviluppato in un linguaggio “di coscienza” che torna all’elementarità di espedienti figurativi comunemente avvertiti come primari - stilizzazioni, reiterazioni, combinazioni incongrue, mezzetinte e sproporzioni - e coniato per una speciale sensazione di disvelamento identitario che ad Antonio ispira affabulazioni sospese, bisticci di segni, metafore “di uso domestico”, regressioni inconsulte, slittamenti di particolare in particolare: un novellare continuo – dagli episodi “inconcludenti”, nel senso non che vanno a vuoto bensì che lasciano il discorso al modo indefinito - in cui sempre pare rifiorire l’ideale pascoliano dello spontaneismo cognitivo del fanciullino «che alla luce sogna o sembra sognare, ricordando cose non vedute mai».

E mentre una coerenza sincopata versifica la fabula di una migrazione, vigila dall’alto un lampadario acceso [l’uovo cosmico… alla coque] per vidimare quest’altra storia: epopea di perdenti e perduti, di liturgie e solstizi. Un’ode all’armonia scolata intatta nel bollore del giorno.

Et voilà! È pronto. 

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